Informarsi per lottare

Informarsi per lottare: Donne contro le mafie, per tenere sempre viva la memoria

Tipologia

Altro

Anno

2022/2023

Descrizione

La lotta delle Donne alle mafie in ricordo di don Pierluigi

L’informazione, ma soprattutto l’Istruzione come strumento per contrastare il potere della mafia. La mafia, infatti, utilizza l’ignoranza delle persone a proprio favore, per poterle manipolare. Ecco perché queste due sono armi importanti nella lotta contro la mafia. Si potrebbero passare ore a parlare di ciò, ma l’importante per questo articolo è che passi questo messaggio: l’informazione non arricchisce solo la nostra conoscenza, ma è anche una potente arma che ci permette di non essere manipolati.”

di Alessia Michelutti, classe 4BL

Sabato 19 novembre 2022 si è tenuto al Centro Balducci di Zugliano un incontro per la giornata di testimonianze contro la mafia, che si è aperto con un discorso di una studentessa del liceo “G. Sello”, Rosasole. La ragazza ha affrontato il discorso a proposito del concetto di comunità, che includeva una piccola presentazione del centro e un ricordo di don Pierluigi Di Piazza, fondatore del centro, deceduto da poco.

Clicca il seguente link per visualizzare le Foto dell'incontro.

La giornata ruotava intorno a quattro testimonianze di Donne, vittime dirette o indirette delle azioni criminali della mafiaCristina Mazzotti, Lia Pipitone, Silvia Stener e Margherita Asta. Le ultime due erano presenti ed hanno direttamente testimoniato la loro storia. 

Non mi soffermerò su tutto ciò che hanno detto Silvia e Margherita perché non riuscirei mai ad esprimere le loro parole nel modo in cui lo fanno loro, e di sicuro non riuscirei a trasmettere tutte le emozioni che arricchiscono e impregnano le loro testimonianze, quindi riporterò ciò che mi è rimasto più impresso. 

Silvia Stener è la nipote di Eddie Walter Max Cosina, un agente della scorta di Paolo Borsellino che ha perso la vita nella strage di via d’Amelio il 19 luglio 1992 insieme al giudice e ad altri 4 agenti. 

Eddie, racconta Silvia, era un uomo gentile, disponibile, altruista. Lo racconta tramite gli aneddoti della sua vita, piccole finestrelle che ci hanno offerto una visione sull’uomo che è stato. Nessuna delle ragazze e nessuno dei ragazzi che assisteva alla conferenza conosceva Eddie di persona, ma Silvia l’ha fatto conoscere a poco a poco, tanto che pare che Eddie abbia fatto un po’ parte della vita di ognuno. L’ha raccontato in modo tale che entrasse nei nostri cuori e che ci restasse. Quel 19 luglio 1992 Eddie non doveva essere in servizio. La sera prima, infatti, era arrivato un sostituto dalla Questura di Trieste che avrebbe dovuto prendere il suo posto. E’ stato proprio Eddie a dire al suo sostituto di prendere una giornata di riposo, d’altronde lui sarebbe ritornato dalla sua famiglia il giorno dopo e avrebbe avuto poi molto tempo per riposarsi con i suoi cari. E questa non fu l’unica vita che salvò involontariamente quel giorno. Una volta arrivato in via d’Amelio nell’auto della scorta è stato Eddie a consigliare ad Antonino Vullo, un altro degli agenti della scorta, l’unico sopravvissuto, di spostare la macchina della scorta in un’altra posizione, poco prima che la macchina in sosta lì vicino, piena di tritolo, esplodesse. Di certo gli episodi sulla vita di Eddie non sono finiti qui, ma non è mio dovere raccontarli, in quanto sono certa che se sentiti direttamente da Silvia significhino molto di più. Ciò che però voglio assolutamente riportare in questo articolo è una riflessione fatta da Silvia a proposito dell’importanza dei nomi. Sono passati molti anni dalla morte di Eddie, ma Silvia e la sua famiglia si ricordano ancora i giorni subito successivi a questa disgrazia. Si ricordano come i telegiornali raccontavano questo terribile accaduto. In articoli e servizi non c’era alternativa: o Eddie veniva citato semplicemente come “agente della scorta di Paolo Borsellino” o il suo nome veniva storpiato, cambiato da Cosina a Cusina. E quest’ultima cosa Silvia l’ha continuata a ribadire durante tutto il corso della mattinata. Eddie Cosina, COSINA. Non Cusina. Ed ogni volta che lo ripeteva ci metteva sempre un po’ di emozione, un po’ di determinazione in più della volta precedente, perché ogni volta che lo ripeteva Eddie lasciava un segno sempre più profondo dentro agli studenti.

E tutto ciò si ricollega ad un altro importante argomento citato, che purtroppo non si è riusciti ad affrontare in profondità: l’informazione, ma soprattutto l’istruzione come strumento per contrastare il potere della mafia. La mafia, infatti, utilizza l’ignoranza delle persone a proprio favore, per poterle manipolare. Ecco, sinteticamente, perché queste due sono armi importanti nella lotta contro la mafia. Si potrebbero passare ore a parlare di ciò, ma l’importante per questo articolo è che passi questo messaggio: l’informazione non arricchisce solo la nostra conoscenza, ma è anche una potente arma che ci permette di non essere manipolati. 

Margherita Asta è la sorella maggiore di Salvatore e Giuseppe Asta e la figlia di Barbara Rizzo, vittime che hanno perso la vita nella strage di Pizzolungo, il 2 aprile 1985. Sia prima della testimonianza di Silvia sia prima di quella di Margherita, sono stati proiettati due video, che esponevano la cronaca dei due attentati. Mentre Silvia ha visto tutta la sequenza dedicata a Eddie senza il bisogno di distogliere lo sguardo, quando Margherita ha dovuto ripercorrere il ricordo dell’attentato c’è stato un momento dove ha dovuto per forza dare le spalle al filmato, con un’evidente espressione addolorata in viso. Nonostante questo, o forse proprio per questo, Margherita è riuscita a donare alla sua testimonianza un qualcosa in più che è faticoso a descrivere a parole. Dalla sua testimonianza non traspariva solamente il racconto di una ragazza che ha dovuto superare la morte ingiusta di madre e fratellini, ma anche la volontà di combattere il male che le ha portato via le persone che amava tramite il loro ricordo. Quel male che ha colpito anche Eddie: la mafia. La mamma e i fratellini di Margherita sono infatti vittime “accidentali” della mafia. Il vero obiettivo dell’attentato era il magistrato Carlo Palermo che quella mattina viaggiava su una macchina diretta a Trapani. Barbara stava accompagnando i gemelli a scuola ed ha avuto la “sfortuna” di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Infatti, poco prima di incrociare una macchina ferma sul bordo della strada piena di tritolo, la macchina della donna era stata superata da quella del magistrato e della sua scorta. La macchina di Barbara ha quindi fatto da scudo a quella di Carlo Palermo, che è rimasto “solamente” ferito. Come si potrà intuire mamma e figli hanno subito un destino ben peggiore. La macchina di Barbara è stata ritrovata completamente a pezzi e su una palazzina di fronte alla strada era possibile vedere una macchia scarlatta, il sangue di uno dei due piccoli fratelli di Margherita. “Ogni volta che guardo quel muro rivedo quella macchia” dice Margherita, nonostante il fatto che quella stessa parete oggi è completamente bianca. Ogni volta che ripenso a questa affermazione e ripenso a ciò che è successo a Giuseppe e Salvatore, il cuore mi si riempie ancora di angoscia, soprattutto ripensando a come li ha raccontati Margherita. Avevano 6 anni, erano pieni di vita, vivaci e avevano ancora tutta la vita davanti. Una vita che ora non possono più portare avanti. Una vita che non dovevano perdere ingiustamente quella mattina dell’aprile 1985.

All’epoca dell’incidente Margherita aveva 10 anni, si è salvata perché aveva deciso di andare a scuola con un’amica, dato che, aspettando che i due fratellini finissero di prepararsi, sarebbe arrivata in ritardo. Poche ore dopo gioiva per il fatto che sarebbe uscita prima da scuola, quando una collega di suo padre era andata a prenderla. Una gioia durata poco, spenta ancor prima di ricevere la notizia, perché la piccola Margherita aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Poco dopo uno zio le ha confermato i suoi sospetti. Dopo questo racconto, Margherita ha descritto i suoi sentimenti di quel periodo. Sicuramente provava dolore per la sua perdita, ma lo ha descritto come un dolore “insensibile”, un dolore presente, ma non del tutto percepito. Un dolore che Margherita descrive del tutto diverso da quello che ha provato circa dieci anni dopo, alla morte del padre, quando era completamente consapevole di ciò che stava provando. Nel 2015 ha deciso di rievocare quel dolore insensibile e di scriverlo nel suo libro “Sola con te in un futuro aprile”, con l’aiuto della giornalista Michela Gargiulo. Oltre a questo, nel libro appare la grande importanza che Margherita dà ai suoi sentimenti e la sua volontà di trasmetterli agli altri. Legato a questo, si collega un’altro pezzo della testimonianza di Margherita. Dopo aver parlato dei suoi fratelli, di sua madre e anche un po’ del padre, Margherita ha iniziato a raccontare come e perché ha iniziato a lavorare con Libera e a testimoniare la sua storia. Testimoniare e raccontare la vita e, purtroppo, la morte delle persone a cui teneva non è soltanto un modo per ricordarle e mantenerle vive nei ricordi delle persone, ma serve anche a ridimensionare il potere della mafia, responsabile di tutte queste perdite. 

Ciò che oltre alle testimonianze di Margherita e Silvia mi ha toccata di più è stata l’unione che hanno dimostrato nel corso della giornata e il supporto che si davano a vicenda durante le loro testimonianze. Silvia ha affermato che è stato proprio grazie a Margherita se anche lei ha cominciato a testimoniare. È stata ispirata durante un’occasione simile alla giornata di testimonianze contro la mafia, dopo aver assistito al discorso della sua amica. 

Dopo pochi anni hanno avuto l’occasione di incontrarsi di nuovo e da allora le due hanno coltivato un’amicizia duratura, basata sul supporto reciproco. Ed entrambe sono guidate da un desiderio comune: sapere perché i loro parenti sono morti o sono dovuti morire.

Come citato all’inizio dell’articolo le testimonianze di Silvia e Margherita non sono state le uniche. Oltre alle loro sono state presentate le vicende di cui erano protagoniste altre due donne, la giovane Cristina Mazzotti e Lia Pipitone. Queste due donne sono state uccise dalla mafia, quindi a raccontare le loro storie sono state alcune studentesse di questo liceo. I loro lavori sono stati realizzati nell’ambito del Curricolo di Educazione Civica svolto insieme al docente di religione Simone Del Mondo, che ogni anno propone la realizzazione di un elaborato (che può essere una presentazione, una poesia, un’intervista…) a partire dalla storia di una vittima innocente di mafia. 

In questa giornata due studentesse di due delle sue classi hanno avuto l’occasione di partecipare attivamente alla conferenza e, oltre a introdurre l’argomento della mafia e la testimonianza di Silvia Stener, hanno presentato due dei lavori svolti durante le lezioni. 

Il primo progetto riguardava Cristina Mazzotti, una ragazza di 18 anni rapita dalla mafia quando stava tornando a casa da una festa. Cristina è stata tenuta per quasi un mese in uno spazio così ristretto che le era impossibile stare in piedi. Due volte al giorno riceveva un panino come pasto, unito a farmaci ipnotico-sedativi alternati ad eccitanti per mantenerla in vita. La ragazza è morta durante un trasferimento e il suo corpo è stato gettato in una discarica nel Novarese. 

Per raccontare questa storia Vittoria Incognito, Beatrice Piccoli e Martina Urli, che frequentano la 5BL del Liceo Linguistico, hanno deciso di realizzare una lettera scritta da Cristina stessa mentre si trovava nel buio di quello scantinato. Posso dedicare solo parole di elogio per questo elaborato. La scrittura della lettera e il tono con cui è stata letta erano talmente sapientemente realizzate da risultare realistiche e creare l’illusione che ci si trovasse nello stesso spazio della ragazza e che questa parlasse direttamente al pubblico. La lettera esprimeva tutti i sentimenti che la ragazza avrebbe potuto provare, e che probabilmente ha effettivamente provato. Paura, ansia, smarrimento, dolore, rimpianto. Mi ricordo ad un certo punto di aver distolto un attimo lo sguardo dalla proiezione e di aver osservato alcune mie compagne di classe. Erano state talmente colpite dal racconto da avere le lacrime agli occhi. E pure io ho dovuto trattenere qualche lacrima. Alla fine della lettura, le ragazze hanno ricevuto gli elogi anche da Margherita e da Silvia. 

Il secondo progetto, realizzato da Sabrina Dalla Cia, frequentante la 5AL del Liceo Linguistico, era dedicato alla storia di Lia Pipitone

Lia era la figlia del boss siciliano Antonino Pipitone, operante nel quartiere dell’Acquasanta. Fin da bambina la sua vita era strettamente controllata dal padre oppressivo, tanto che la stessa Lia ha affermato che gli unici momenti di libertà erano le ore che trascorreva a scuola, il liceo artistico Catalano. Lì aveva conosciuto e si era innamorata di un ragazzo di nome Gero, che era riuscita a sposare nonostante la disapprovazione del padre e con il quale aveva avuto un bambino, Alessio. Lia Pipitone è stata uccisa il 23 settembre del 1983 per ordine del padre, che aveva cercato di mascherare l’omicidio come una rapina finita male. Nel suo progetto, Sabrina immagina che Lia abbia scritto una lettera ad Alessio per raccontargli i suoi sentimenti, le sue paure e i suoi timori, ma anche per ricordare il bene e la speranza che il figlio non affronti ciò che lei stessa ha dovuto affrontare nella sua infanzia, nella sua adolescenza e nella sua vita. 

Anche per questo progetto non possono mancare gli elogi: le parole scelte da Sabrina sono state d’impatto nella loro semplicità. Parole che sono riuscite a far immedesimare il pubblico nel personaggio di Lia e condividere temporaneamente le sue preoccupazioni e le sue speranze. 

Molto spesso mi ritrovo a ripensare a questa giornata e alle parole che sono state dette. Fino a questo incontro le mie conoscenze sulla mafia erano generali, tali da consentirmi di conoscerne la pericolosità, ma non certo la crudeltà effettiva… 

È difficile descrivere le sensazioni al termine della giornata a qualcuno che non ha ascoltato direttamente le testimonianze. E non oso immaginare ciò che prova chi si trova nei panni di Margherita, di Silvia e di tutti gli altri testimoni. Credo sia ovvio che dal punto di vista informativo questa esperienza sia stata utile a tutti i presenti, ma più importante è stato ciò che ha lasciato dal punto di vista emotivo. La possibilità di entrare a contatto, di empatizzare con qualcuno che con la mafia - una realtà che soprattutto al Nord sembra così distante - questo contatto l'ha avuto, ha permesso di sviluppare una visione più concreta del male che attanaglia questo Paese.

Voglio chiudere questa mia testimonianza con un invito: restiamo informati, così nel nostro piccolo riusciremo anche noi a combattere la crudeltà della mafia. 

Alessia M.

Stato

Presentato

Inizio

2022-11-19

Fine

2022-11-19

Obiettivi

Incontro per la giornata di testimonianze contro la mafia. La giornata ha ruotato intorno a quattro testimonianze di Donne, vittime dirette o indirette delle azioni criminali della mafia: Cristina Mazzotti, Lia Pipitone, Silvia Stener e Margherita Asta.

Luogo

Liceo "Caterina Percoto" - Sede centrale

Tag pagina: Didattica