La Voce delle Classi contro le mafie...
L'incontro del 24 gennaio 2025 con il prof. Marco Omizzolo, ospite del Liceo 'Percoto' per parlare di mafie, contro le mafie, per diffondere la Cultura della Legalità, ha lasciato un segno profondo nelle coscienze e nei cuori delle ragazze e dei ragazzi che ora ci raccontano di un momento davvero emozionante...
Sul palco dell’Aula Magna sono stati sistemati frutta e ortaggi, ben visibili ai ragazzi e alle ragazze dei Licei 'Sello', 'Percoto', 'Marinelli' e 'Marinoni' raccolti per ascoltare la conferenza di Marco Omizzolo. Cibi semplici ed economici, presentati in un contesto insolito affinché l’attenzione si focalizzi proprio su ciò che è talmente consueto da non porci interrogativi: sappiamo da dove vengono? Chi li raccoglie? Come giungono fino a noi?...
Questi i commenti e le osservazioni di chi era presente:
"Ho trovato l’intera conferenza molto interessante e istruttiva. Ho gradito molto l’intervento di Omizzolo. Ho particolarmente apprezzato il suo modo di parlare e la capacità di descrivere dettagliatamente la sua esperienza, oltretutto decisamente degna di coraggio. Seguendo le sue parole mi sono immedesimata nel discorso e ho visualizzato a mente le immagini del racconto, che ha suscitato in me un grande impatto emotivo. Nel complesso, ritengo che l'intervento sia stato molto utile per comprendere le dinamiche del caporalato vissute dall'interno, nonché le problematiche e i dilemmi, non solo di natura legale, ma anche etica, che ne derivano."
"Ho trovato l’intervento molto interessante. L'argomento trattato è qualcosa di cui non ho sentito parlare spesso, motivo per cui mi ritengo abbastanza ignorante in merito. Nonostante ciò, grazie alle parole e alla testimonianza di Marco Omizzolo, sono riuscita a riflettere e a rendermi conto di quanto il fenomeno del caporalato sia un problema sempre più attuale. Non è facile immaginare ragazzi come me, o addirittura più piccoli, costretti a vivere, o meglio, a sopravvivere in condizioni così disumane come quelle da lui descritte. Mi ha fatto riflettere anche su come, ogni giorno, inconsapevolmente, rischiamo di “contribuire” a questi abusi, semplicemente acquistando prodotti che sembrano normalissimi, ma che nascondono questa triste realtà. Trovo ammirevoli le esperienze di Marco Omizzolo, che per scopi così importanti è arrivato a mettere a rischio la sua vita. In generale, ho trovato questa conferenza molto stimolante dal punto di vista della riflessione e mi farebbe piacere partecipare ad altri incontri simili."
"Abbiamo avuto l’occasione di ascoltare l’esperienza concreta di una persona che è stata nei luoghi dove i lavoratori vengono brutalmente sfruttati e maltrattati, per poter sperimentare sulla propria pelle quella vita alquanto dura e impegnativa. Le sue parole sono state molto forti e toccanti, a volte anche cruente, come quando ha descritto il modo in cui quei lavoratori, quando si ferivano, non venivano subito soccorsi, ma erano abbandonati a 300 metri dall’ospedale (se andava bene), lasciandoli in uno stato pietoso. Ascoltare il modo in cui queste persone vivono, mi ha lasciato proprio l’amaro in bocca. Mi sono persino schifata, perché mi continuavo a chiedere come certa gente così vicino a noi, sia capace di essere così crudele, così cattiva, senza un minimo di buon senso e di umanità. Credo che ascoltare quest’esperienza, insieme alla storia raccontata al centro Balducci, siano importanti per noi studenti per renderci conto della vita che certe persone sono costrette a vivere e che queste persone sono più vicine di quel che pensiamo."
"Ho molto apprezzato il fatto di poter prendere parte alla conferenza di Marco Omizzolo e di poter conoscere la sua testimonianza. Poter entrare in contatto con realtà che seppur così vicine a noi, sembrano così lontane, è fondamentale. Nonostante io conoscessi già il tema del caporalato, ho trovato interessante quanto detto dal relatore, perché quello che ha spiegato mi ha permesso di aprire gli occhi. Discorsi del genere dovrebbero essere fatti in tutte le scuole e, più in generale all’interno di contesti il più diversi l’uno dall’altro, allo scopo di rendere partecipe la maggior fetta di popolazione possibile. Noto che, purtroppo, molte volte quando si affrontano queste tematiche, si coinvolgono persone che in qualche modo sono già coinvolte o che conoscono, anche se solamente di poco, il problema. Invece, per avere un cambiamento secondo me è fondamentale istruire chiunque, per permettergli di aprire gli occhi sulla realtà che lo circonda e di cui è parte. Trovo che il Caporalato sia un male estremamente radicato all’interno della società (come ad esempio la mafia), e che per questo sia molto difficile da combattere. Molto spesso quando i problemi sono così intrinsecamente parte della struttura di un sistema, essi vengono lasciati da parte e ignorati. Quello che voglio dire è potenzialmente esprimibile dalla frase “si è sempre fatto così”: di fatto tutto ciò che richiede il cambiamento è così difficile e lungo nel tempo da realizzare, ed è dunque più facile voltarsi dall’altra parte e far finta che, finché la questione non ci tocca in prima persona, tutto vada bene. Il modo in cui Marco Omizzolo ha affrontato questa battaglia mi ha particolarmente colpita. Sono poche le persone che decidono di estraniarsi totalmente dalla loro condizione agiata per immedesimarsi in quella di qualcun altro che, vive di fatto in una condizione di schiavitù. Ciò che ancora di più mi ha affascinata oltre alla perseveranza che egli ha avuto nell’affrontare un percorso così duro e rischioso, sono stati i risultati che ha ottenuto. Il primo sciopero dei braccianti, tenutosi nel 2016 ha affermato la presa di coscienza da parte di chi era vittima di questa ingiustizia. Alla domanda: “cosa fareste voi per porre fine al Caporalato?”, le risposte che emergevano dentro di me, erano presso a poco le solite: comprare prodotti NO CAP, informare la popolazione del problema e così via. Azioni ultimi, ma che fanno parte di una sorta di accettazione del problema perché riguardano solo lo stadio finale del processo. Non avrei mai pensato al creare un contesto nel quale attraverso la Costituzione, viene insegnato a chi è vittima di questo abuso i diritti fondamentali di ogni singolo essere umano. Far credere loro che valgono allo stesso modo di ogni altro essere umano, è fondamentalmente per ottenere un cambiamento. Una persona che è sempre stata trattata come una bestia, non penserà neanche lontanamente di avere dei diritti, a meno che questo non gli venga insegnato. Inoltre, penso sia molto importante ripristinare anche all’interno della popolazione (in questo caso italiana) quel senso di empatia, che permette di immedesimarsi nelle condizioni di chi soffre, e che porti al desiderio profondo di porre fine a situazioni del genere. Noto invece che molto spesso si tende a giustificare quando di atroce accade, come se questa fosse una lecita e naturale condizione umana. Parlando del caporalato ad esempio, fino a 60 anni fa erano gli italiani che subivano questi maltrattamenti, e quindi io credo che l’odio o l’indifferenza sia un modo di trasferire la sofferenza provata su qualcun altro. Prendersela con gli altri è più facile che lottare con loro perché si è consapevoli della crudeltà di quello che vivono. Credo che al giorno d’oggi si viva in una società all’interno della quale è fin troppo facile voltare le spalle ai problemi, di qualsiasi tipo essi siano. La gente ragiona nell’ottica del “va tutto bene finché non sto male io” e questo è una grandissima piaga per la società, perché il far leva sull’ individualismo di ognuno, porta a una visione estremizzata ed egoistica del sé come se esso non fosse in relazione all’altro, quando invece viviamo di fatto in un modo estremamente connesso e collegato. I problemi di uno ormai sono, anche se in piccola parte, problemi di tutti."
"La conferenza è stata uno spiraglio su una realtà molto provante, ma anche una sorta di resa dei conti resa possibile grazie al sociologo Marco Omizzolo, che si è concretamente impegnato a denunciare realtà lavorative in condizioni di violazione di diritti umani. Sono rimasta tanto colpita dal coraggio e dalla forza d’animo del sociologo, nella decisione di prendere coscienza di una situazione pericolosa per sé stesso, ma anche per l’altro. Perché inserirsi in quelle realtà, in quei luoghi di lavoro significa assumere una nuova identità che non è finalizzata al guadagno, ma vuole essere utile per studiare la tratta e aiutare le persone vittime di sfruttamento. Tuttavia il processo è complesso: denunciare la mafia, il caporalato non è sufficiente, è necessario cambiare radicalmente le condizioni di asservimento. Il sociologo si allinea alla routine dei lavoratori, offre una modalità di riscatto, che permette di slegarsi poco a poco dal rapporto di asimmetria tra il datore, chiamato da loro “padrone bravo, padrone buono”, e la persona sfruttata, di fatto schiava, perché senza diritti e con una dignità strappata dall’imprenditore. Allora la chiave si rivela nella conoscenza: imparare le parole capaci di denunciare lo stato di deprivazione dei propri diritti e bisogni risulta trasformativo e in grado di porre in discussione quella relazione indiscutibile di assoggettamento."
"Nonostante la sua complessità, il Professor Omizzolo mi ha dato un altro punto di vista su un fenomeno di cui sono a conoscenza da diversi anni. Durante l’incontro ha discusso di com’è strutturato il caporalato, della sua esperienza personale sul campo, in particolare l’osservazione partecipante nei campi di raccolta.
Mi hanno fatto riflettere due termini particolari: subordinazione e insubordinazione, in quanto parole chiave del sistema schiavistico del caporalato, in base ai quali si creano gruppi sociali opposti. Essenzialmente non c’è un lavoratore perché il “contratto”, se così vogliamo identificarlo, è basato puramente su uno schema schiavistico con a capo un gruppo di padroni, solitamente imprenditori con affiliazione mafiosa o incensurati.
'Padroni' in quanto riducono i loro 'lavoratori' a dei meri oggetti che possono trattare a piacere loro; su questo punto il Professore Omizzolo ha portato numerosi esempi, particolarmente toccanti, di violenze fisiche su minorenni, ragazzi, uomini, donne anziani.
Non ho citato 'violenze verbali' perché è normale per dei Padroni utilizzare un linguaggio violento e bestiale nei confronti dei migranti.
È inquietante come questo fenomeno schiavistico, sotto gli occhi di tutti i cittadini (esperienza personale, giornali), sia sostanzialmente ignorato. È altresì inquietante che non vi sia un intervento di tipo politico per contrastare il gruppo sociale criminale a capo del caporalato, nonostante ci si proclami una florida democrazia
occidentale."
"L’incontro con Marco Omizzolo, docente presso la Sapienza di Roma, mi ha fatto riflettere su un tema delicato e spesso ignorato da molti: il caporalato, forma illegale di reclutamento e organizzazione della manodopera.
Il fenomeno non interessa solo il Meridione ma anche il nostro territorio, il Friuli Venezia Giulia.
È stato sconvolgente ascoltare la sua esperienza: Omizzolo ha lavorato come bracciante infiltrato per studiare lo sfruttamento dei migranti da parte delle mafie, mettendo in pericolo la sua vita.
Il servizio di Piazzapulita ci ha mostrato la cruda realtà riguardante il settore agricolo e le condizioni di schiavitù dei braccianti. Ognuno di noi dovrebbe acquistare generi alimentari facendo scelte consapevoli e leggendo attentamente le etichette dei prodotti.
Ho apprezzato il modo in cui Marco Omizzolo ha saputo raccontare la sua storia, ricca di coraggio e resilienza.
Lo sfruttamento non dovrebbe più esistere nel 2025, ogni uomo è il padrone di se stesso. Il caporalato è una piaga sociale che mina la dignità umana e il tessuto etico della nostra società. Questa pratica disumana riduce le persone a semplici strumenti di produzione, ignorandone i diritti, i bisogni e il valore. Non è solo sfruttamento lavorativo: è un sistema che alimenta povertà, disuguaglianza e illegalità, togliendo alle vittime la possibilità di costruire un futuro dignitoso e sicuro. È dannoso perché non solo annienta la vita di chi subisce, ma degrada anche il senso di giustizia collettiva, normalizzando l’idea che il profitto possa valere più della vita umana.
Marco Omizzolo, sociologo e insegnante universitario, ha raccontato la sua esperienza di ricerca osservativa fatta presso uno stabilimento nel basso Lazio, dove il “padrone” sfruttava le persone come fossero oggetti, considerandole meno delle macchine perché meno costose, più numerose e più facilmente corruttibili. Erano spesso immigrati a cui venivano sottratti i documenti, vivevano in baraccopoli con condizioni igieniche al limite del sostenibile, senza acqua pulita o un impianto elettrico a norma. Sentivano la nostalgia di casa. Se qualcuno si faceva male durante il lunghissimo turno di lavoro veniva sostituito da un altro, non gli venivano fornite nemmeno le cure minime anzi, spesso, veniva rimandato alla sua misera baracca in attesa di morire. Il professor Omizzolo racconta di un episodio in cui a un uomo si mozza il braccio, viene riaccompagnato sull’uscio della sua abitazione e scaraventato fuori dal veicolo, lanciandogli accanto l’arto ormai infetto e putrido: non gli restava che aspettare di morire pregando di non soffrire troppo, in altro non poteva sperare. Nonostante queste pratiche disumanizzanti i lavoratori, o meglio gli schiavi, dovevano chiamare il capo padrone, rendendo cieco questo sistema di sfruttamento e abuso di persone."
"In Italia ci sono 150 ghetti, 450000 lavoratori sfruttati (80%stranieri) pagati 0,50€ all’ora per 14 ore giornaliere con diritto a sole due pause da 10 minuti; nel 2014 130000 persone vivevano in condizioni para-schiavistiche, oggi 235000 e negli ultimi 6 anni 18 braccianti indiani si sono suicidati.
Ho trovato molto interessante, infatti, che il professore abbia spiegato il metodo specifico da applicare nell’indagine sociologica. Egli ha condotto un’osservazione partecipante, in modo da incontrare le persone. Ci ha spiegato che la cosa più importante è ricercare un certo tipo di informazione, sviluppando la capacità di porsi le giuste domande."
"Marco Omizzolo ci ha raccontato come vengono sfruttati specialmente stranieri che vivono irregolarmente nel territorio italiano, che non essendo a conoscenza degli strumenti di tutela lavorativa, vengono sottopagati e dequalificati come persone in cambio di un lavoro più o meno stabile.
I caporali essendo a conoscenza della vulnerabilità di queste persone, li deumanizzano, rendendoli diventare dei veri e proprio oggetti, strumenti di lavoro, togliendo loro diritti inderogabili come salute, uno stipendio fisso e regolare e la propria dignità.
Molti di loro sono veri e propri schiavi, tanto che i datori di lavoro diventano padroni, e vengono sfruttati dalle 8 alle 12/14 ore al giorno, con due pause di 10 minuti. Molti di loro vivono in container all’interno dell’azienda, in condizioni antigieniche e di povertà, con le quali devono convivere ogni giorno.
Il sociologo ci ha raccontato come molti di loro diventano dipendenti da droghe quali l’oppio, metanfetamina, per rilassare i muscoli dopo giornate intense di lavoro. Sono proprio i caporali a venderle, per avere un maggior profitto.
I braccianti sono privati di contratti regolari, pertanto molti di loro non vengono pagati oppure vengono pagati dai 3 ai 5 euro l’ora, rendendo impossibile sperare in un futuro migliore. Non essendo a conoscenza dei diritti dell’uomo, anche solo rinnovare la carta d’identità o il permesso di soggiorno diviene una problematica economica, tanto che i caporali chiedono 500 euro per queste pratiche.
In questi ambienti viene messo in atto la pratica della violenza punitiva, che può essere mortale o creare danni irreversibili ai braccianti, molto spesso a causa di una richiesta di un aumento di stipendio o di un contratto regolare.
I caporali agiscono in questo modo sapendo che queste persone non hanno nulla, cercano solo uno stipendio per aiutare la propria famiglia, e fanno leva su ciò per arricchirsi senza dover pagare le tasse a causa di contratti regolari.
L’intervento è stato utile per mettere in luce che fenomeni con il caporalato non avvengono solo nelle regione più povere, ma anche nel nord Italia, semplicemente non se ne parla abbastanza per far sì che le persone vengano messe al corrente di situazioni di degrado sociale come queste.
Questo intervento per me è stato molto interessante e anche impattante perché il professore ha spiegato chiaramente il suo studio sul fenomeno del caporalato, portando anche esempi della sua osservazione sul campo. Il video iniziale è servito per facilitare le spiegazioni del professore su alcuni temi, per esempio come vivevano le persone sfruttate oppure sul tema del “padrone”. I punti più significativi del suo intervento sono, secondo me, la vita quotidiana e la condizione economica degli sfruttati e l’importanza e il pericolo della ribellione contro i 'padroni'. "
"L’intervento di Marco Omizzolo ha messo in luce un quadro sconvolgente e disumanizzante del fenomeno del caporalato. Durante la conferenza, il sociologo ha sottolineato come questo sistema di sfruttamento sia strettamente legato non solo alla criminalità organizzata, ma anche a un profondo disprezzo per i diritti umani fondamentali.
Ci ha raccontato del suo studio sul campo, condotto all’interno di aziende agricole che impiegano braccianti in nero. Per un anno e mezzo, si è immerso completamente nella realtà di queste persone, condividendone le stesse condizioni di vita. Durante questo periodo, ha vissuto esperienze talmente degradanti che definirle disumane sarebbe un eufemismo: incidenti sul lavoro ignorati, “abitazioni” prive di ogni comfort essenziale per una vita dignitosa e ritmi lavorativi massacranti. Questi trattamenti non solo sfruttavano i lavoratori, ma li privavano della loro stessa condizione umana.
Il culmine di questa narrazione è stato scoprire che i responsabili di tali contesti inumani si facevano chiamare “Padroni”. Attraverso il racconto della sua esperienza, Omizzolo ci ha resi consapevoli di quanto queste situazioni violino i più basilari diritti umani.
Le condizioni disumanizzanti descritte, insieme al controllo totale esercitato dai “Padroni” sui lavoratori, fanno del caporalato un sistema che richiama le dinamiche di un’istituzione totale, dove l’individuo viene spogliato di ogni diritto e dignità.
Nonostante tali vicende siano spesso associate al Sud Italia, Omizzolo ha evidenziato come i “Padroni” fossero spesso originari del Nord. Questo dato sfata il pregiudizio secondo cui tali fenomeni accadrebbero lontano da noi: al contrario, è essenziale riconoscere che anche nel nostro territorio esistono e sono gravi tanto quanto quelli del Sud."
"Dalla conferenza del prof. Omizzolo mi aspettavo un lungo e noioso discorso di carattere esclusivamente didattico, invece sono rimasta soddisfatta e arricchita dalle parole del sociologo Marco Omizzolo che mi ha offerto numerosi spunti di riflessione su una tematica che mi pareva molto lontana dal mio quotidiano: il fenomeno del caporalato, di cui sapevo a grandi linee, è stato raccontato dal professore in maniera coinvolgente e interessante, questo grazie all’esperienza che egli ha fatto in prima persona. Penso sia stata proprio quest’ultima l’oggetto di maggiore interesse, integrata con nozioni di carattere sociologico grazie alle quali sono riuscita a ricondurre la parte teorica, che studio a scuola, alla vita reale. Le esperienze che ha condiviso con noi sono crude e “difficili”, perché portavoce di una realtà che ha le medesime caratteristiche: rimanere impassibili e indifferenti davanti a quelle storie vere era impossibile e disumano.
Mi ha colpito più di tutto il coraggio dello stesso sociologo ad immergersi in quel piccolo mondo incerto e pericoloso, senza aiuto né supporto dall’esterno e non immagino quante volte debba aver avuto paura per la sua incolumità e quella delle persone che ha conosciuto. Ho apprezzato molto come abbia sottolineato che il caporalato non è presente esclusivamente nel Sud Italia, fatto che in qualche modo ci ha fatto credere di esserne “estranei”, ma avviene nello stesso Friuli Venezia-Giulia senza che noi ce ne fossimo mai resi veramente conto: sapere ciò mi ha fatta sentire quasi “colpevole” e “complice” e mi ha messa in una condizione di disagio. Giudico queste sensazioni, tuttavia, come positive, perché hanno innescato in me e sicuramente in molte altre persone in quella stanza una riflessione su qualcosa che da tempo abbiamo ignorato.
La conferenza mi ha fatto pensare a come persone come me, comuni e senza particolare potere nella risoluzione di questo fenomeno, possano dare una mano e tuttora una risposta precisa a questa domanda non ce l’ho. Tuttavia, esattamente come lui ha fatto parlandoci, ritengo sia fondamentale la presa di coscienza e la sensibilizzazione su questo tema, perché anche se ci pare lontano dal quotidiano la responsabilità ricade su tutta la collettività.
In quanto sociologo ha studiato e analizzato le condizioni precarie che vengono vissute dalle persone, principalmente immigrate, che lavorano nel settore dell’agricoltura come braccianti.
Omizzolo ci ha presentato con chiarezza come questo lavoro sia soggetto a maltrattamenti e subordinazione da parte dei lavoratori nei confronti dei “ Padroni”, proprietari terrieri che invece di instaurare un ambiente lavorativo sereno, creano per i braccianti una condizione di vita precaria con un mancato rispetto dei diritti umani come il diritto alla salute, il diritto a un contratto di lavoro legale, a un giusto orario di lavoro.
I braccianti cadono proprio in una situazione di schiavitù, da cui non riescono più ad uscire. Queste persone lasciano il proprio paese affrontando tragitti pericolosi, nella speranza di trovare un paese migliore e un lavoro per aiutare le proprie famiglie; quello che trovano, invece, sono persone che si approfittano del loro bisogno, delle loro necessità economiche che pur di lavorare accettano di vivere in luoghi non a norma, senza luce, senza riscaldamento e senza acqua.
Questa conferenza, per me, ha smontato in primis lo stereotipo che queste cose accadono solo in certe zone d’Italia, mostrandoci proprio come questo problema ci sia anche in casa nostra e come viene ignorato dalla popolazione.
Mi ha sorpreso inoltre, quanto sia difficile aiutare queste persone senza che vengano viste solo come “immigrati senza permesso”, senza che vengano rimandati a casa. È difficile aiutarli in modo efficace, in modo che anche loro vengano visti come esseri umani ridotti in schiavitù, persone consumate dalle 16 ore di lavoro al giorno, persone tenute spesso sotto ricatto dai propri “padroni”, rinchiuse nei container, persone non pagate e persone con esigenze mediche.
"Certamente, la conferenza tenuta da Marco Omizzolo venerdì scorso mi ha dato molto da pensare, soprattutto in relazione anche alla visione del documentario prodotto da Will del 14 Novembre in occasione del Fake News Festival. Ho notato con particolare dispiacere che l’attenzione generale non fosse delle migliori, sfociando a tratti anche in un elemento di disturbo. Le ragioni, per quanto mi riguarda, potrebbero essere molteplici: stanchezza, importanza delle informazioni, le ultime dure ore del venerdì (non ragioni giustificabili, a mio avviso); nonostante ciò, imputo questa disattenzione anche al fatto che l’intervento fosse scomodo. Non erano nozioni e notizie leggere: Omizzolo ha presentato una situazione che, oltre ad essere ampiamente diffusa stando ai dati riportati, è evidentemente tollerata a livello istituzionale e nei contesti quotidiani, soprattutto riguarda la filiera agroalimentare, alla quale noi italiani siamo tradizionalmente molto legati. Non mi spiego il motivo di questo, da cittadino. Non mi spiego come almeno una parte della politica sia quasi indifferente a questi problemi e ai connessi; non mi spiego come specialmente in certe zone che hanno sofferto il peso della criminalità organizzata essa tuttora riesca ad attecchire con i suoi metodi; non mi spiego la rigidità del nostro sistema burocratico che impedisce l’aiuto agli sfruttati, ma lo rende ancora più pesante. Non me li spiego io, ma è chiaro che non se li spiega nemmeno chi questo problema dovrebbe combatterlo: a tratti sembra che non venga nemmeno considerato un problema. A parer mio, il mito (veritiero) dell’italiano orgoglioso osteggia fortemente ogni processo tendente ad alleviare la situazione. Se non si possono criticare il modo in cui determinati settori vengono condotti, questi non faranno altro che consumarsi da soli: il caporalato è uno strumento parte di un ingegnoso marchingegno che ci siamo convinti sia necessario per condurre un’agricoltura che fornisce prodotti sani, genuini e adatti alle nostre specialità; ma se i prodotti sono intrisi del sangue di chi li raccoglie o li lavora non basta sciacquarli prima di mangiarli per levare via il criminale che c’è dietro quel prodotto. A parer mio, per combattere questo fenomeno è necessario innanzitutto demistificare i nostri prodotti e le nostre strategie, perché non sarà un po’ d’acqua a lavare il nero dal rosso di un pomodoro."
"Nonostante io personalmente conoscessi già molte delle cose che sono state esposte durante la conferenza di venerdì questa è stata comunque interessante e ha sicuramente arricchito le mie conoscenze. L’intervento del professore e sociologo Marco Mizzolo é stato fondamentale ai fini del racconto dato che avendo vissuto in prima persona l’orribile realtà dello sfruttamento che porta le persone ad essere schiave. Il professore è riuscito a farci empatizzare con quelle persone grazie a racconti personali che hanno offerto un punto di vista molto diretto che non si limitava solamente al dire a grandi linee cosa succede in quei campi.
In sostanza è stata una conferenza ricca di spunti di riflessione che sicuramente ha lasciato qualcosa dentro tutti quanti."
"La presentazione tenuta venerdì 24 gennaio 2025 in aula magna da Marco Omizzolo, organizzata dall’associazione antimafia Libera, ha affrontato con grande intensità il fenomeno sociale del caporalato, una piaga diffusa in tutta la penisola italiana. Omizzolo, sociologo impegnato da oltre vent’anni nello studio di questa realtà, ha condiviso la sua esperienza diretta e le sue ricerche, soffermandosi in particolare sulla situazione nell’Agro Pontino.
Durante l’intervento, ha descritto le terribili condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti molti giovani lavoratori extracomunitari, impiegati principalmente nella raccolta agricola. Questi uomini e donne lavorano spesso di notte, senza alcuna possibilità di riposo, per una paga misera di 5 euro all’ora, quando non vengono addirittura truffati e privati del loro compenso. Costretti a chiamare i loro datori di lavoro “padroni” e soggetti a violenze fisiche in caso di ribellione, vivono in un clima di costante paura. Per sopportare le condizioni fisiche estreme, molti di loro fanno uso di sostanze stupefacenti, alimentando un pericoloso giro di spaccio all’interno dello stesso ambiente lavorativo. Molti desiderano tornare dalle proprie famiglie, ma le ristrettezze economiche e la mancanza di alternative li rendono prigionieri di questo sistema."
"Particolarmente significativo è stato il racconto personale di Marco Omizzolo, che ha scelto di lavorare fianco a fianco con questi braccianti nei campi di raccolta, per comprendere più a fondo la loro realtà e denunciare con maggiore forza le ingiustizie subite.
La sua testimonianza è stata un potente richiamo all’attenzione su un fenomeno spesso invisibile, ma profondamente radicato nella nostra società, e ha invitato tutti noi a riflettere sull’importanza della giustizia sociale e della lotta contro ogni forma di sfruttamento."
"Della conferenza svolta il venerdì 24 gennaio sono rimasto veramente impressionato e gli argomenti trattati mi hanno fatto riflettere molto sulla realtà dei fatti.
Penso che la cosa che ha attirato maggiormente la mia attenzione sia stato il video fatto vedere all’inizio della conferenza. In questo video si poteva vedere come questi lavoratori venissero sfruttati e sottopagati. Lavoravano circa 10 ore al giorno con un guadagno bassissimo e soprattutto in condizioni precarie. Gli stipendi, oltretutto, arrivavano con grande ritardo e questo non permetteva ai lavoratori di vivere ma solo di “sopravvivere”. In questo video sono inoltre stati intervistati i proprietari di queste aziende(quelli che i dipendenti chiamavano “capi”) che, davanti alla realtà dei fatti negavano tutto, per la maggior parte delle volte rifiutandosi di rispondere alle domande degli intervistatori."
"La conferenza a cui abbiamo assistito raccontava storie di persone soggette al caporalato e di tutte le conseguenze che ne derivano. Questo argomento è stato trattato in modo molto interessante, dapprima attraverso un video per dare una concretezza effettiva e un esempio visivo di ciò che accade e successivamente con la testimonianza di un Sociologo che ha deciso di sperimentare sulla sua pelle ciò che vuol dire lavorare in queste condizioni: Marco Omizzolo.
Premettendo che la sua esperienza è stata molto meno cruda e ingiusta rispetto ai migranti (Marco percepiva uno stipendio più alto ed era effettivamente lì per motivi di ricerca) ha raccontato di essersi camuffato con un turbante e una barba lunga e di essere entrato a fare parte del gruppo degli sfruttati dal caporalato qui nel nostro Paese. La sua esperienza ricca di episodi duri ha reso molto chiara e allarmante la situazione. Basti pensare all'omicidio, perché questo è stato, di Satnam Singh (migrante lavoratore che perse il braccio che, in urgente bisogno di cure mediche, è stato abbandonato dal suo datore di lavoro a casa e lasciato a morire) e successivamente al caso di Jerry Essan Masslo (ucciso insieme a tanti suoi colleghi lavoratori da un blitz a Villa Literno, Caserta, Campania). Impensabile che queste situazioni accadano ancora oggi, nel 2025, però è così. Pian piano si può provare a cambiare le proprie abitudini, in modo da non incentivare questi caporalati che sfruttano e uccidono persone: controllare bene i prodotti che si acquistano, creare posti di lavoro accessibili, creare opportunità anche per coloro che scappano dai loro Paesi per trovare speranze e risposte altrove."
"La conferenza del prof. Omizzolo ha presentato dettagli che mi hanno fatto molto riflettere sulle condizioni in cui i migranti irregolari vengono trattati in un paese come l’Italia, membro dell’Unione Europea, che tanto si spende nelle politiche migratorie. Particolarmente agghiaccianti sono stati i dati sottolineati: che in un paese membro dell’Unione Europea vi siano al giorno d’oggi 450.000 persone in condizioni di sfruttamento lavorativo e circa 150 ghetti in cui mancano anche i più minimi requisiti di abitabilità sembra a momenti impossibile, irreale. Scoprire poi che è il nostro territorio quello su cui si registrano questi numeri è ancor più sconvolgente a mio parere, visto che sentendo la descrizione fornita dal prof. Omizzolo sembrava di aver a che fare con il quadro di un Stato del terzo mondo; situazioni disumane come quella del contadino del Bangladesh morto dopo aver perso un braccio tranciato sul lavoro fanno riflettere sull’ipocrisia della nostra società, in cui si dà grande rilevanza alla caccia di trafficanti di esseri umani in Africa o Asia senza essere neppure capaci di punire gli aguzzini che si trovano già in mezzo a noi...
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